INCROCI
Come si può definire un incrocio? È solo un punto di contatto casuale che riempiamo di significato e ci fa credere al destino? Come si crea un incrocio? Da dove si parte per percorrerlo?
In questa storia, la strada ha la forma di una e-mail, forma quotidiana di incrocio digitale tra mittenti e destinatari. È una e-mail che incuriosisce, parla di un progetto di valorizzazione di vitigni autoctoni delle Colline Tortonesi, è firmata “Fulvio e Tamara”. Ci accordiamo per conoscerci, con una mia visita alla loro Azienda.
La condizione di esistenza necessaria per un incrocio sono due strade. La mia parte da Milano e si snoda tra la campagna spoglia e le nebbie invernali della pianura padana fino al borgo di Monleale, piccolo comune della provincia di Alessandria, situato su una collina alla sinistra del torrente Curone proprio all’imbocco della valle.
La risalita della collina verso Monleale Alto, luogo stabilito per l’incontro, o meglio, l’incrocio, con Fulvio Fassone, titolare de Vigneti Fassone, regala squarci di cielo azzurro.
Incontro inaspettato
In attesa di Fulvio, curioso, ammiro questa piccola frazione, pulita ed ordinata circondata dai vigneti e in piazza casualmente incontro Walter Massa, amico di Fulvio nonché primo e accidentale incrocio di questa storia. Walter è la più autorevole voce del Timorasso, a lui ed alla sua genialità visionaria che si deve la rinascita di questo vitigno e una nuova filosofia produttiva, tanto da meritarsi la nomea di “Padre del Timorasso“
Scambiamo due chiacchiere cordiali. Va di fretta, mi saluta regalandomi un libro, dal titolo “Manualetto Popolare del Viticulture” di Luigi Cataldi, scritto nel 1898, sottolinea accoratamente, a pochi chilometri da lì, tra le colline vitate.
L’atteso incrocio
Nel mentre arriva Fulvio, incrocio atteso per questa giornata, che mi accompagna a vedere i vigneti, situati a 300/350 mt slm. Parcheggiamo lungo la strada, che si snoda in un simpatico saliscendi, proprio a ridosso del primo appezzamento di poco più di un ettaro, con viti che furono piantate verso la fine degli anni ’30.
Qui, mi racconta Fulvio, ha vita la Barbera, questa è la Vigna Longa, da queste viti hanno raccolto le uve della “Prima” vendemmia nel 2018. In questa stagione si offrono alla vista filari ordinati e puliti, pronti per la fase vegetativa che inizierà tra qualche settimana.
Siamo circondati da terreni vitati a Barbera e Timorasso, alle nostre spalle un’area che presto ospiterà la nuova cantina e nuovi impianti, di Timorasso naturalmente. Le idee ed i progetti sono tanti, mi ragguaglia Fulvio: «La nostra casa è costruita sul vecchio Mulino di famiglia datato 1806 e i terreni sono a 550 mt nei pressi del paese di origine della mia famiglia, Fabbrica Curone ; in quella zona sono sempre esistiti vigneti espiantati a partire dagli anni 80. Il progetto è di ripiantare vigneti, e riportare cultura vitivinicola, anche lì. Abbiamo fatto analizzare i terreni circostanti e oggi, anche causa dei cambiamenti climatici, le temperature in questa zona sono salite in media di 2°C, possiamo farlo con buone prospettive».
La cantina
Poco dopo siamo alla cantina dove conosco Tamara, simpatica e cordiale moglie di Fulvio, sommelier e laureanda in enologia. Mi accoglie con le mani macchiate della barbera dato che aveva appena terminato di colmare i tonneau di maturazione della Barbera destinata a diventare “Colli Tortonesi Barbera DOC Monleale”.
Dopo le presentazioni di rito, è il momento dell’incrocio più atteso, quello con il vino.
Tamara ci tiene a farmi assaggiare il contenuto delle vasche, cercando di trasmettermi il suo desiderio di imparare a farlo sempre meglio, a dargli un’identità, anche attraverso la sperimentazione. Da qui la sua scelta, impegnativa, di coniugare lavoro e percorso di studi in enologia: determinazione e aspirazione al miglioramento.
La cantina è molto spartana ma ben organizzata [foto cantina], e mentre girovago tra contenitori in acciaio, vasche in cemento e resina, ed i tonneau di maturazione, mi raccontano dell’ultima vendemmia, di quanto sia stato faticoso torchiare a mano il raccolto, ma hanno un sorriso compiaciuto quando parlano del risultato.
Sperimentazione
Il primo assaggio è un esperimento: uve bianche macerate 13 giorni su buccia e vinaccioli, fermentazione naturale, senza lieviti aggiunti, solo con quelli che si porta dietro l’uva sulla buccia degli acini.
Il colore mi ricorda quello del liquido che si ottiene spremendo in mano una sugosa pesca gialla. Al naso è erbaceo, quell’odore che ha una corteccia appena staccata dal suo tronco, ma già si fanno avanti note di pesca e fumé, sorprendente acidità e freschezza.
Sarà pure prematuro, ma la beva risulta piacevole e un sorso tira l’altro.
A seguire il Timorasso (Derthona) 2021, sta ancora meditando sulle fecce in un contenitore di acciaio, indubbiamente più limpido rispetto al precedente, il suo colore è di un bel paglierino carico quasi dorato, vino intenso e consistente che fa intuire la sua gradazione finale.
Immancabile al naso la tipica pietra focaia, ancora una nota erbacea, la frutta gialla direi pesca, – palato pieno e avvolgente – bella corposità alcolica, nonostante la bassa temperatura che ne condiziona l’esprimersi un tutto il suo potenziale.
Anche l’orecchio vuole la sua parte: tra una mescita e l’altra, cerco di scoprire come mai Fulvio e Tamara, solari laziali, abbiano deciso di trasferirsi tra le nebbie alessandrine. Loro rimandano la soddisfazione delle mie curiosità al momento del pranzo.
Nel frattempo nel mio calice il Timorasso si scalda ed è così in grado di esprimere tutto se stesso, meno durezze più velluto, consistenza, calore, pesca gialla spremuta.
Dalla vasca, si passa alla bottiglia: Timorasso, prima vendemmia di Tamara e Fulvio. Colore giallo paglierino, profumi di frutta gialla, fiori e delicate note di idrocarburo che in concerto con le note di pesca ritornano all’assaggio. Al palato è caldo e morbido, dotato di un finale pulito e persistente. Elegante espressione del territorio dei Colli Tortonesi, reca però un nome esotico in etichetta: IMAI.
Imai è una stella della costellazione della Croce del Sud, è una parola della lingua Etiope che descrive l’erba che cresce dopo un’esondazione, rappresenta la nascita della vita ma significa anche “essere primo in tutto”. Per loro Imai significa proprio primo in tutto, è il prologo della loro nuova avventura tra queste colline che presto vedranno nuove vigne di Timorasso, senza però trascurare la tradizione, quella della Vigna Longa.
Apprezzato l’Imai, ci tuffiamo nei “rossi”: Fulvio porta delle bottiglie della loro Barbera Prima (vendemmia 2018 – vendemmia 2019 – vendemmia 2020), mi aspetta una verticale. Fulvio mi incuriosisce, preleva del vino da due diversi tonneau della barbera e ne crea una cuveé (4/5 di una, 1/5 dell’altra). Tonneau diversi per il numero di utilizzi, uno è nuovo e gli altri hanno sono già stati utilizzati più volte. Tra me e me lo soprannomino i Quattro Quinti.
Buona la “Prima“
Due annate, Prima 2018 e Prima 2019, entrambe in grado di soddisfare palati diversi ed esigenti. Non vi aspettate la solita Barbera dalla spiccata e caratteristica acidità che prevarica su tutto, qui c’è velluto ma senza stravolgerne l’identità.
La prima origina interamente da uve della Vigna Longa, la più vecchia, con viti di 60 anni e più, ancora vigorose, con produzione contenuta ma di qualità. Nel calice di un rosso rubino intenso, limpido, consistente. Naso intenso, frutta rossa matura, ribes, sottobosco e nota erbacea. Il sorso è pieno, caldo e abbastanza morbido, tannino presente non invadente e nel complesso risulta un vino equilibrato.
La seconda, nasce delle uve della Vigna Longa e parte della Vigna Vitti con viti più giovani ma comunque con un età ragguardevole, quarant’anni. Ho trovato quest’ultima più affine al mio gusto personale.
Nel calice un bel rosso porpora, al naso è l’inconfondibile amarena matura a farla da padrona, poi esce la viola, il sottobosco, la nota minerale. Il sorso restituisce la piacevolezza di un vino secco e caldo, con la sua tipica freschezza. Nota sapida, tannino gagliardo data la giovane età, abbastanza equilibrato, fine e di buona persistenza.
Per ultimo, quello che ho soprannominato i Quattro Quinti, è un equilibrio di sensazioni, sorso avvolgente e pieno. Il sapiente uso del legno non prevale sui toni naturali della Barbera, anzi ne completa la rotondità. Promettente e sicuramente da riprovare.
Quel che resta del…vino
Ciò che rimane nelle bottiglie verrà con noi a pranzo, e saranno sapientemente abbinate a preparazioni tipiche locali, quali gnocchi mantecati al Montebore, salumi, formaggi. Chissà se a pranzo la mia curiosità per la storia di incroci che lega Tamara e Fulvio sarà soddisfatta.
Tra una forchettata e un aneddoto, Tamara e Fulvio mi riportano dove è iniziata la giornata, nella piazza di Monleale Alto, ritorno portando con me un’altra storia di passione, costanza e, per alcuni un pizzico di follia, iniziata quasi per gioco con poco meno di un ettaro la Vigna Longa, pian piano diventati cinque, la voglia di conoscere, imparare e sperimentare; nel futuro il desiderio di tornare a curare anche le vigne del nonno. Ma anche con un paio di ricordi formato 750 ml.
Ah, la storia di Fulvio e Tamara e dei loro incroci?
Il bello è farsela raccontare da loro, sappiate che gli incroci sono almeno sei, il primo risale agli anni ’50, in un paio s’incontra Walter Massa, c’entrano balere, aeroporti, viaggi e vini, ci sono anche risvolti divertenti e romantici.
Andate a conoscerli, apprezzerete i vini che producono, vi racconteranno con entusiasmo la loro avventura, vi parleranno del Timorasso e della Barbera, vedrete la Vigna Longa, e conoscerete quel territorio che è Monleale, che ancora oggi continua a produrre storie, leggende e incroci.
R.Matetich